Amara riflessione

Come può tanta bellezza naturale crearmi tristezza?
Eppure ne conosco i canti ed i prodigi. E allora perchè?

Guardo attorno e constato che troppo pochi hanno capito di farne parte e continuano maldestramente a sfidare il domani con l’insostenibile leggerezza dell’essere sfruttatori.
Ciò che ingiustamente non lasciamo ai nostri figli, è frutto di ciò che abbiamo distrutto dell’eredità dei nostri padri.
Dov’è quell’eco comune che non rimane solitaria parola nel vento?
Dov’è il nostro valore convertito in azioni concrete?
Come non capire che il nostro confine non è una regione, una nazione, un continente ma è lo spazio infinito dell’universo? Come non accorgersi dei limiti fisici del nostro mondo?
Perchè aspettare il punto di non ritorno per provare a cambiare la rotta?

Avvicinati a me.
Senti quest’aria stasera?
La luce della sera si stende sul mare e riflette la luna.
Socchiudi gli occhi e viaggia con me.
Ricordi quel trasparente torrente in cui abbiamo bevuto?
Scorre silenzioso sotto il nevaio.
E quel deserto di sabbia che pareva infinito?
Eppure al di là c’è una foresta che ci porta il respiro.

Ma come posso guardarti se non posso lasciarti ogni cosa al suo posto?
Non preoccuparti se ora grido.
Dove sieti guerrieri?
Dove sieti costruttori di pace?
Non giratevi.
Siete voi.

Valore nullo

Quanto vale ai nostri occhi la vita di una persona sconosciuta?
Quanto vale per il nostro amore l’amarezza di un dolore altrui?
Quanto vale la sua presenza se disturba il nostro quieto vivere?

Valore nullo e nell’indifferenza si consuma la fragile figura di un bambino a terra, che non dorme ma lentamente muore.

Che valore abbiamo ora?

Il Natale di nessuno

Il Natale che vorrei è un po’ diverso da quello che ogni anno scorre tra vetrine, case brulicanti di regali e luci colorate. E’ il Natale di Nessuno, di chi non ha alberi da addobbare e nemmeno scatole colorate da aprire, o di chi pur avendo queste cose, non è sereno e sente forte la mancanza di qualcosa. Non è nemmeno quello dei buoni propositi che iniziano con un piccolo digiuno e finiscono con la pancia piena di pietanze, mentre la mente si addormenta ai richiami dei rimorsi e dei doveri.
Vorrei vederlo nascere dal vero in quelle persone che dicono di credere come atto di fede, come vorrei vederlo vivere con serenità in quelle che in quell’atto non ci credono ma lo rispettano, accogliendolo come una buona tradizione che unisce in un abbraccio dal sapore genuino.
Non vorrei più il Natale di circostanza, quello del sorriso stirato come la camicia della festa o dell’augurio virtuale associato alla lista dei contatti. Nemmeno quello che parla di bontà fra le rughe dei rancori, nè quello dell’assegno in mano per donare briciole di un eccesso a chi è diventato solo uno stereotipo di povertà e comodo immaginario consolatore della nostra coscienza addormentata.
Vorrei il Natale di Nessuno, quello con la N grande, come dicono i bambini, di quel Nessuno che è sfuggevole comparsa per trecentosessantaquattro giorni all’anno ed in questo particolare giorno non è altro che lo stesso essere vivente dei giorni precedenti.
Rivoglio – e lo grido forte – il Natale visto con gli occhi stupefatti dei bambini, quelli che guardano verso il cielo cercando una stella e regalano al cuore l’innocenza che sa di buone cose, come il cioccolato che rincuora nei momenti tristi. Altresì vorrei sentirlo negli odori del mondo, che siano quelli di legno che brucia in un camino o di spezie accatastate in mercati lontani, così come vorrei fosse deserto con quell’odore di sabbia d’Africa e simili disperati paesi, distanti dalle nostre renne e dalle nostre slitte ben curate.
Vorrei pure un Natale di Nessuno che si inchinasse con rispetto ed umiltà a madre terra ed a tutti i suoi figli. Vorrei che ci ricordassimo del posto in cui viviamo, dove consumiamo i nostri giorni, come stupidamente e con poco buon senso le risorse che ci offre.
Un Natale che si legga non nelle parole, come queste, ma nelle azioni di chi lavora e cresce con l’esempio, sapendo che hanno più valore di una moneta d’oro. Vorrei che non ci fosse Natale, per capire che l’essere consapevoli del nostro esistere è cosa più importante di un riflesso nello specchio.
Vorrei un Natale che non fosse ipocrisia di un calendario e nonostante tutto potesse realmente splendere nello sfavillare di addobbi colorati e fatti a mano con fantasia e condivisione.
Ancora, vorrei che potesse essere la rinascita interiore di un dio benevolo per chi ci crede e la rinascita interiore dell’uomo saggio per chi pensa che quel dio è forse troppo impegnato in altri progetti. In ogni caso vorrei che Natale fosse un’altra possibilità per fermarsi e dire “adesso basta”, uso la mia testa e voglio uscire da questo vortice infernale in cui anche la gioia fa parte del comprare, di un buttare energia e denaro in cose che, finita l’abbuffata, serviranno solo ad un mesto ritornare a precaria normalità.
Il Natale di Nessuno è proprio il mio, è proprio il nostro, quando incontra lo sguardo della gente di buona volontà che di quel nessuno si è resa conto e partecipa alla lotta per trasformarlo finalmente in un Qualcuno da vedere ed apprezzare.
Cerco nuovamente lo sguardo dei bambini, perchè solo in loro trovo quel significato di un Natale che ho vissuto tempo fa ed ancora fatico a credere non si possa – insieme – ritrovare.
Comunque lo viviate fatelo con il cuore, cercando di sentire quel sollettico dell’anima che chiede solo di ridere serena e fare in modo che anche altri possano fare altrettanto.

Da soli non cambiamo il mondo, ma il mondo cambia se non restiamo soli.

“Sinceri Auguri di momenti felici”

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pubblicato in “The best magazine 7”

Interrotto

Cosa ne sarà di un uomo che ha socchiuso il tempo in un cassetto, ripiegandolo con cura tra le pieghe di un vestito mai usato o forse mai voluto?
Cosa ne sarà della memoria dei suoi gesti, che han seguito il volere di altri pensieri e non hanno avuto la forza di mostrare il loro valore?
Cosa ne sarà di un’esistenza che traccia deboli graffi che si confondono alle sferzate del vento di una tempesta?
Dove potrà attecchire quel seme che invano ha sparso per terra, se non lo ha difeso dai predatori e dall’ingiuria del tempo?
Cosa ne sarà di tutte queste parole se sconosciuta ne rimane la lingua?

Si può, forse no.

Si può vivere anche ignorando la vita, come zattere trascinate al largo dalla corrente.
Si può stare ore a guardare il vento che scompiglia le nuvole, alternando l’azzurro del cielo a macchie grigie che poi si dissolvono.
Si pùò dimenticare il perchè delle cose, fingendo che nulla alla fine è troppo importante.
Perchè provare fatica per salire alla cima della conoscenza, se poi lo sguardo è coperto da nebbie che impediscono qualsiasi visione?
Si può giocare la partita anche rimanendo ai bordi del campo, rischiando il meno possibile, aspettando che qualcuno lo faccia per noi.
Si può perdersi, volutamente, drogando la mente con frenetico impegno, sperando che poi il ritrovarsi non ci ripaghi con una pesante moneta.
Si può arrivare alla meta, pur non conoscendo la strada ma con l’astuzia di non averla fissata e validarla soltanto se certa.
Si può sopravvivere alle correnti, senza morirne, nonostante le ore scorrano via come l’acqua di un fiume.
Si può continuare a dormire, aspettando che la notte rincalzi la notte, omettendo un giorno che faccia troppa luce e troppo rumore.
Si può difendere ad oltranza una scusa, destinata a puntellare vacanti certezze, con la speranza di aver calcolato in modo corretto geometrie e portanti.
Si può vestirsi con abiti scuri e pesanti, anche se è estate, come portare leggere stoffe di carta, anche se inverno.
Si possono costruire virtuali rapporti d’amore e soffrire reali dolori; la ferita brucia lo stesso.

Ma alla fine di tutto non si può driblare se stessi e fingere a lungo di non sapere, di non capire, di non vedere, di non provare, di non avere, di non buttare ciò che un giorno, all’improvviso, scopriremo di voler trattenere e rinnovare.
Ecco, racchiuso in un respiro, c’è tutto il nostro grande valore.

Stabile emergenza

Cominciamo bene questo articolo. Già nel titolo è evidente il paradosso delle due parole che stridono come unghie sui vetri. Stabile, per dire di un qualcosa che non muta nel tempo, contrapposto ad emergenza, per dire di un evento eccezionale che mettendo in pericolo la vita, impone una azione rapida e risolutiva.
Ma nel parlare di emergenze ambientali non mi sembra di esagerare o forzare questo paradosso. Con il nostro grande ingegno siamo riusciti a creare una situazione di emergenza che ha un valor medio pressochè costante, ovvero stabile, se analizzato sull’intera superficie del nostro mondo. Non passa giorno in cui la cronaca non ci strilli l’ennesimo scempio sul territorio, dovuto la maggior parte delle volte a negligenza, scarsa manutenzione, superficialità ed indifferenza, per non dire crimine.
Oggi la notizia è l’immane disastro della piattaforma esplosa nel golfo del Messico che sta riversando nel mare una quantità spaventosa di petrolio, si parla di qualcosa come 5mila barili al giorno, anche se stime più precise si aggirerebbero a 56mila barili al giorno. Numeri quasi difficili da immaginare e da riportare in una dimensione a noi normale.
Ma oltre a queste catastrofi, di cui ne siamo in minima parte colpevoli, ogni giorno avvengono micro disastri anche vicino a noi o addirittura opera delle nostre stesse azioni. Non fanno notizia ma si compiono sotto i nostri occhi e ne siamo complici.
Oggigiorno si parla molto della tutela dell’ambiente ma temo che queste parole siano inflazionate, risultando retoriche e svuotate dal loro vero significato, un po’ come il termine solidarietà.
Noi che viviamo in una società del benessere, della tecnologia, della cultura, siamo quelli che si permettono di inquinare maggiormente, come se la nostra forza sociale fosse in grado di arginare i nostri misfatti, e non contenti, dall’alto della nostra sapienza, guardiamo e rimproveriamo chi più debole sembra ripercorrere la nostra stessa strada. Ma chi sopravvive ogni giorno per una razione di cibo non ha il dovere di pensare se quel cibo che mangia è in un contenitore biodegradabile e se va smaltito nella raccolta differenziata. Tanto più che la maggior parte di quell’aiuto arriva come nostro scarto di un’opulenza che rasenta la vergogna e che è fonte primaria di inquinamento.
Siamo tutti colpevoli di omissione di soccorso verso l’ambiente, dal momento che non cambiamo le nostre abitudini e ci ostiniamo a voler mantenere un ritmo di sviluppo superiore alle nostre possibilità, ovvero ignorando uno sviluppo sostenibile in confronto alle risorse disponibili. Forse in questo caso bisognerebbe parlare di inquinamento mentale più che ambientale, uno sporco che si è attaccato ai nostri pensieri ed al nostro modo di vivere.
La follia del golfo del Messico è in parte colpa del nostro stile di vita, della nostra incapacità a guardare al futuro e rinunciare a qualcosa di piccolo per preservare qualcosa di grande. Per carità, nessuna campagna del “torniamo al passato, all’età della pietra vestendo di pelli”. Siamo realisti. Ma cambiare le nostre abitudini si può e si deve. Una passeggiata per andare al negozio lasciando a casa la macchina è il solito piccolo esempio che porta con se la verità del “posso fare qualcosa, per me e per te”. Abbassare d’inverno la temperatura delle nostre case è possibile, ne guadagneremmo in salute, in portafoglio ed anche in ambiente. Spegnere i nostri tecnologici mezzi, compreso il computer, quando non li usiamo è pensare all’ambiente senza toglierci la possibilità di rimanere “connessi” al mondo virtuale. Ma sono infinite le cose che si possono fare partendo dai gesti quotidiani, che pur non bastando per cambiare il mondo, sono portatrici di un esempio per gli altri. Per tutelare l’ambiente sono ormai convinto che ci vuole un contagio destinato a trasformarsi in pandemia di buone virtù, dove prevalga la visione comune di un vivere meglio in un mondo che non sia bello solo per noi ma anche per chi verrà dopo di noi.
Non è vero che l’individuo può far poco d’innanzi ai grandi del potere, alle piovre multinazionali ed a quegli oscuri circoli privati che operano in pochi le scelte di molti. Questi “grandi”, che poi alla fine sono uomini, hanno bisogno di noi, come noi ne abbiamo di loro. La loro sfida è quella di mantenere e dominare la nostra scelta, non creando massa critica ma sostenendo il desiderio e l’ambizione di singoli individui; la nostra battaglia è all’opposto creare massa critica composta da singoli individui dotati di mente pensante e che hanno come obiettivo la realizzazione di un desiderio comune: il buon vivere insieme.
L’ambiente fa parte di questo buon vivere perchè porta con sé non solo ricchezza sul territorio, pensiamo al turismo, ma anche qualità intesa come benessere fisico e spirituale. Qual’è quel cuore che guardando la bellezza della natura non prova amore ed empatia? Ma se su quello scenario incombe una discarica a cielo aperto, cosa rimane della nostra emozione, di quell’armonia che ci distende l’anima ed il corpo?
Nessuno può sottrarsi a questa “stabile emergenza” ambientale: dal parco urbano sotto casa, alla discarica abusiva nella provincia vicina, alla disastrosa deforestazione del Sud America e dell’Africa. Ognuno può e deve fare la differenza. Come? Sensibilizzazione di chi ci è vicino è già il primo passo, essere consapevoli delle nostre scelte ne è il secondo, dare un esempio concreto nella nostra vita quotidiana ne è il terzo, e cosi via.
Non fidatevi della pigrizia e dell’indolenza di chi vi dice che l’inquinamento di una persona in un anno è pari a quello che produce una grossa fabbrica in un giorno. E’ solo una scorciatoia per liberarsi la coscienza da un peso, quello del non agire, e diventare complice di chi ancora ignora (o finge di non sapere) che l’ambiente in cui si vive non è proprietà esclusiva ma patrimonio di tutti.
A noi farlo capire perchè l’emergenza ambientale non sia una tassa di successione ma resti un imprevedibile evento che si è superato.

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pubblicato in “The best magazine 4”

Squilibrio

E’ triste scoprire che la spesa sanitaria globale relativa al nostro opulente stile di vita, supera di gran lunga la spesa per curare malattie dovute alla malnutrizione. Ed è ancor più triste scoprire che troppa gente non vuole cambiare e non ci vuole pensare.

Così, rimangono solo parole che non hanno capacità di nutrire.

Revisione

C’è un momento in cui ti fermi, o forse ti svegli, osservi l’intorno e scopri che non ti appartiene. Allora pensi che non ci sia più nulla da dire, o meglio, che tutto sia ovvio e per questo non serve ulteriormente ripeterlo agli altri.
Ripercorri con attenzione l’esperienza passata ed i pensieri si spezzano in silenziose assenze, che non trattieni nelle emozioni ma fissi su spazi bianchi. Inizia un dialogo interiore che lasci scorrere come acqua turbolente di un fiume in piena: non cerchi di contenerlo, anche perché non ne sei capace, ne di indirizzarlo, non hai canali in cui farlo e lasci che rompa gli argini e si disperda in mille rivoli indefiniti.
Come in questo momento, dove regna il mattino, dove i colori sono cangianti e risaltano la bellezza di un mondo naturale e si contrappongono alla scarsa lungimiranza di un mondo artificiale.
E’ pronto l’ennesimo strappo, soluzione finale di un foglio per metà ancora bianco, in cui non rileggi le parole che hai scritto ma senti violente quelle che ancora non lasciano traccia.
Quante metafore per una vita che in ogni momento è metafora di se stessa, è bugia e verità, è bene e male, è paradosso di un pensiero assemblato in un corpo fisico e limitante.
“E’ tempo di essere e non di imitare”, come si potesse al mattino impedire ad un sogno di essere tale e si potesse scegliere la verità da indossare, come fosse un vestito appeso in un armadio ricco e capiente. Ah!, amara e inconsolabile follia.
Lungo è il lavoro di costruzione di un uomo, ancora più lungo e incerto il percorso per godere di quel che si è fatto.

Ma per fortuna abbiamo strumenti per poter affrontare le incognite del nostro futuro. Quello più importante è detto consapevolezza, ovvero presenza coerente del nostro essere in questo presente che si muove nel tempo. Poi, occorre sincerità e coraggio per smascherare le nostre bugie, spazzando le scuse di quel non agire e rimandare a domani, come se domani fosse sempre concesso e si compisse a nostra discrezione.
C’è sempre tempo per abbandonare una strada insicura che non porta nessun beneficio ma solamente dolore ed apatia. C’e sempre tempo per trovare risposte a quelle domande che con l’inganno abbiamo astutamente evitato. E non è l’altro che ce lo chiede, ma quella parte di noi che vuol reagire e vuole cambiare per un bisogno d’amore.
Noi siamo gli artefici del nostro destino. Non dobbiamo far altro che mettere mano al timone della nostra nave e dirigersi con fiducia verso l’orizzonte della vita, dove non ci attende un navigare solitario ma il comune sentire di un vento che soffia in un’unica direzione.
Ora che il pensiero si è consumato è il momento di farlo.